(articolo già pubblicato il 20 giugno 2022)
Il 13 maggio 2022 abbiamo avuto modo, forse più corretto dire l’onore, di assistere alla prima dell’opera lirica scritta, diretta e interpretata dall’artista serba Marina Abramović, dal titolo “7 Deaths of Maria Callas”, al teatro San Carlo di Napoli. L’artista dà corpo all’interpretazione dell’attrice e soprano Maria Callas di sette miti di eroine classiche catapultate nella “nostra” contemporaneità in modo unico e incisivo.
Un’opera d’arte totale che viaggia attraverso spazi e medium diversi, partendo dal teatro e terminando all’interno della storica Galleria Lia Rumma di Napoli, in una suggestiva istallazione che ripropone non solo l’interpretazione dell’Abramović, ma ne allunga le radici e il forte significato in altre istallazioni che ne amplificano il dramma.
Ma procediamo per ordine. Come abbiamo detto ci siamo trovati di fronte ad un’opera d’arte totale che fuoriesce da uno schema classico della narrazione cui il teatro è abituato, trovando rifugio in uno storytelling transmediale che si deframmenta e oscilla costantemente tra realtà e virtualità, tra cinema e lirica dal vivo. Tutto ciò mentre l’artista è onnipresente, sia nelle scene proiettate, in cui è accompagnata da Willem Dafoe, che nella realtà, sdraiata sul letto presente in scena dal primo minuto. È possibile sintetizzare questa unione di media come un trip pre-morte che l’artista, distesa nel suo letto, sogna e si mescola nelle sette eroine come segno premonitore a ciò che tragicamente l’aspetterà alla fine dello spettacolo. Sette morti e poi l’ultima, quella di Maria Callas che morì all’interno del suo appartamento parigino secondo il referto di crepacuore. Questa è l’unica scena, l’unico atto interpretato dal vivo dalla stessa artista, una ricostruzione suggestiva, tra luci e ombre: gli ultimi minuti di vita della Divina Callas.
Le donne soffrono in eterno e in eterno muoiono in tanti modi. È un tema che, a me come donna, sta molto a cuore. Il mio lavoro è molto “emozionale”, tocca l’amore, la morte, il dolore, la sofferenza, la perdita, il tradimento: temi di cui è fatta l’arte. (Marina Abramović)
È da questa frase, essenziale per comprendere il tema centrale di tutte le opere presenti all’interno della Galleria Lia Rumma, che si collega la performance attuata al Teatro San Carlo alle installazioni presenti. Un fil rouge che si dipana tra le opere fotografiche: Artist Potrait a Candle (B) (2012); Holding the Skeleton (2008-2016): Potrait with Skull (Eyes Closed) (2019); e infine l’opera più recente in mostra The Jump, del 2022, in cui l’artista impersona Tosca una delle 7 eroine presenti nella video istallazione mostrata al San Carlo e presente contemporaneamente anche nella Galleria. La morte è l’elemento che più di tutti salta all’occhio, ma l’Abramović non si arrende ad essa, al tragico destino che spetta ad ognuno di noi al termine della propria vita, sia essa giunga per motivi naturali o no. Ma vuole esorcizzare questo triste rituale mischiando e mettendo in risalto l’Eros che si nasconde dietro quei tragici eventi.
La mostra non termina con le opere fotografiche ma viene “arricchita” con l’istallazione performativa Black Dragon (1990) composta da una seria di cristalli di quarzo montati sulle pareti della galleria, i quali invitano gli spettatori a toccarli e a ricevere le forti vibrazioni che l’artista ha incanalato in essi. Oggetti transitori che uniscono il trittico artista-opera-fruitore permettendo a quest’ultimo di percepire di quell’opera totale anche le emozioni, quell’elemento immateriale essenziale per ogni opera d’arte, che l’artista ha provato mettendo in mostra un’opera così importante.
E voi? Passerete in Galleria? Vi ricordiamo che la mostra è visitabile fino al 2 luglio 2022.
liarumma.it/mostre/marina-abramovic