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Oggi ti porto... alla 59. Biennale d'arte di Venezia, "Il latte dei sogni"

01-03-2024 03:51 PM

Armando Di Caprio

#oggitiporto,

Oggi ti porto... alla 59. Biennale d'arte di Venezia, "Il latte dei sogni"

Nel 2019 si concludeva la 58. Esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia dal titolo May you Live in interesting time...

(articolo già pubblicato il 22 settembre 2022)

 

 

Nel 2019 si concludeva la 58. Esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia dal titolo May you Live in interesting time curata da Ralph Rugoff. Quasi come gesto premonitore ad un futuro che, di lì a poco, avrebbe trasformato la vita di milioni di persone. Ebbene sì! Viviamo e stiamo vivendo tempi interessanti! Stravolti dalla pandemia che ha cambiato il nostro modo di essere, di rappresentarci e di rappresentare la nostra realtà. Sono stati anni duri quelli che si sono susseguiti dopo la conclusione di quella Biennale, fatti di chiusure e incertezza e ciò si è ripercosso anche sulla stessa Esposizione che, per la prima volta dopo anni, viene rimandata dal 2021 al 2022 (l’ultima volta fu rimandata nel 1944, durante la seconda guerra mondiale).

Una Biennale figlia dell’incertezza generata dalla pandemia ma anche dei risvolti che in questi anni sono affiorati grazie ad essa, ma partiamo con ordine:

Il Latte dei Sogni questo è il titolo scelto per la 59. Biennale di Venezia dalla curatrice Cecilia Vicuña, preso da un libro di favole scritto da Leonora Corrington (1917 – 2011) nel quale l’artista surrealista immagina un mondo fantastico dove ogni individuo può decidere in modo libero di poter essere ciò che vuole, di trasformare e reinventarsi diversamente da ciò che si è ogni volta che si vuole. La ricerca, dunque, parte da una domanda fondamentale: come sta cambiando la definizione di umano?

 

Questi sono alcuni degli interrogativi che fanno da guida a questa edizione della Biennale Arte, la cui ricerca si concentra in particolare attorno a tre macro tematiche: la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi; la relazione tra gli individui e la tecnologia; i legami che si intrecciano tra i corpi e la Terra. O, come dice in modo sintetico la filosofa Rosi Braidotti, i cui scritti sul postumano sono stati fondamentali per questa mostra, la fine della centralità dell’uomo, il divenire-macchina e il divenire-terra. (Cecilia Vicuña)
 

La costruzione di questa Biennale è stata fortemente influenzata dal modo di (sopra)vivere durante la pandemia. Guardare il mondo da uno schermo, unica finestra verso una “realtà” (“una” e non “la” realtà, una delle tante possibili realtà), ha comportato scelte tematiche ed espositive che hanno prodotto un forte rumore durante questa edizione. Stesso il processo di relazione, di visita degli atelier e di scelta degli artisti esposti è avvenuta davanti ad uno schermo e più volte la curatrice ha dovuto immaginare quei lavori in una dimensione che non era quella che stava osservando. È stato dunque consequenziale, ritrovandosi in una situazione di questo genere, riconsiderare la condizione umana nella nostra contemporaneità e della forte pressione tecnologica che dopo moltissimi anni, nascosta sotto un velo che non si voleva alzare, si è manifestata con forza al seguito del Covid-19.

A rispondere a questa serie di domande e complessi pensieri sono presenti in mostra moltissime opere realizzate esclusivamente per gli spazi della Biennale, dove giovani artiste e artisti hanno realizzato lavori rispondendo a queste difficili tematiche e al contempo, per la prima volta, vi sono più di 180 artiste e artisti che non hanno mai partecipato alla Biennale, con una maggioranza di artiste e persone non binarie.

Ciò che rende particolare la 59° Biennale è il carattere trans-storico che la costituisce. La traccia del tempo, sia esso passato, presente e, aggiungerei, futuro; sono presenti su più livelli che la curatrice concepisce attraverso micro-mostre.

 

Le capsule tematiche arricchiscono la Biennale con un approccio trans-storico e trasversale che traccia somiglianza ed eredità tra metodologie e pratiche artistiche simili, anche a distanza di generazioni, creando nuove stratificazioni di senso e cortocircuiti tra presente e passato: una storiografia che procede non per filiazioni e conflitti ma per rapporti simbiotici, simpatie e sorellanze. (Cecilia Vicuña)

 

Forse questo è stato l’elemento che più abbiamo apprezzato della 59° Biennale che, tra alti e bassi, non ha ci ha lasciato un bellissimo ricordo. Concepire la mostra in micro-mostre, in capsule, come direbbe la curatrice, ha prodotto un risultato non ottimale. Più volte entrando da una sala all’altra mi è sembrato di cambiare completamente spazio, di essere in un universo che non aveva nessun legame col precedente. Riconsiderando le parole scritte da Cecilia Vicuña era questo il suo intento, ovvero: creare delle mostre che potessero far parte tutte di una grande narrazione orizzontale e, nel frattempo, raccontarne altre che si innestavano verticalmente in essa - idea che alla base sembra fantastica ma che, all’atto effettivo, non ci ha particolarmente entusiasmato. Questo è presente soprattutto nella sala con le opere che vanno dal 1850 fino alla seconda meta del ‘900, una sala ragionata come un core centrale che dialoga in modo trans-storico con le capsule limitrofe, andando a riesumare e confrontare le metodologie di rappresentare l’altro (parliamo di problematiche coloniali, di eurocentrismo e tutto ciò che si è generato durante quegli anni) e di come questa traccia sia sopravvissuta mutando nel tempo, generando al contempo nuovi modi di osservare l’umano.

Ma quel che distrugge tutto ciò sono le pareti che separano le micro-mostre. Una divisione che ci fa capire di essere al di qua o al di là del tempo e non ci fa vivere questo stupendo viaggio in un mondo, non senza tempo, ma con tutto il tempo. Le Intenzioni intense (H. Szeemann) che sono presenti nelle opere e riecheggiano nella sala sono ostacolate da una divisione fin troppo rigida dello spazio senza manifestare l’a-storicità (H. Szeemann) della traccia che la curatrice ha trovato nei giorni nostri e ha cercato attraverso di essa di farla risuonare nel tempo in modo armonico.


 

 

 

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