(articolo già pubblicato il 4 maggio 2022)
Troppo spesso ci perdiamo nella routine quotidiana non riuscendo a trovare nulla di interessante nelle cose che ci accadono intorno. Pensiamo di conoscere perfettamente gli spazi che attraversiamo ogni giorno ma… abbiamo mai contato i negozi che dividono la nostra casa dal posto in cui studiamo o lavoriamo? Ne siamo certi?
Credo ci stia sfuggendo qualcosa di interessante. Quel dettaglio che potrebbe cambiare l’umore alle nostre giornate, quello che potrebbe scaturire l’idea progettuale che cercavamo da giorni, quella parola mancata, quel caffè sfuggito.
È arrivato il momento di lasciarsi andare alle suggestioni dell’ambiente che ci circonda. Di cercare di cogliere tutte le possibilità di “visione”, notare i particolari, i dettagli. Provare a sentirsi straniati nei posti che crediamo di conoscere meglio e guardare ogni cosa con l’entusiasmo che si ha ogni prima volta.
Sai che esiste una pratica in grado di fare tutto ciò? Di cambiare il tuo modo di osservare il mondo?
È la pratica di “Deriva”, una metodologia che prende questo nome negli anni ’50, attraverso un movimento culturale e politico estremamente rivoluzionario: il “Situationnisme”.
La Deriva è una condizione mentale, quella del totale abbandono di un percorso prestabilito, un percorso fatto “ignorando le regole”, in modo casuale: l’idea del vagare, perdersi, seguendo le suggestioni dell’ambiente che ci circonda. È la partecipazione immediata alle passioni della vita.
Accetta la possibilità del caso, ma non si fonda su esso.
I situazionisti miravano ad un cambiamento del modo di vivere e di vedere, più irregolare, più sentito: passare i luoghi attraverso azioni, pratiche, attività. Vedere quello che non c’è per farne scaturire qualcosa. Trasformare i “luoghi” in “spazi”.
Per fare una deriva, andate in giro a piedi senza meta od orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che sapete, ma in base a ciò che vedete intorno. Dovete essere straniati e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta. Un modo per agevolarlo è camminare con passo cadenzato e sguardo leggermente inclinato verso l'alto, in modo da portare al centro del campo visivo l'architettura e lasciare il piano stradale al margine inferiore della vista. Dovete percepire lo spazio come un insieme unitario e lasciarvi attrarre dai particolari. (Guy Debord, 1956)
in foto uno scatto da "Per_corsi di deriva" per Accademia Svelata, in collaborazione con la scuola di Didattica dell'arte dell'Accademia di belle arti di Napoli (edizione 2019)
Bibliografia consigliata:
Walter Benjamin, I «passages» di Parigi, Einaudi, Torino 2000
Walter Benjamin, Strade a senso unico, Einaudi, Torino 1983 e 2006
Francesco Careri, Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Einaudi, Torino 2006
Michel De Certeau, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma 2010
Michel Foucault, Spazi altri – I luoghi delle eterotopie, Mimesis, Milano-Udine 2001
Franco La Cecla, Perdersi. L’uomo senza ambiente, Laterza, Bari – Roma 2000
Ono Yoko, Grapefruit, Mondadori, Milano 2005
Georges Perec, L’infraordinario, Bollati Boringhieri, Torino 1994
Georges Perec, Mi ricordo, Bollati Boringhieri, Torino 1988/2013
Georges Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 1989
Georges Perec, Tentativo di esaurimento di un luogo parigino, Voland, Roma 2011
Keri Smith, Come diventare un esploratore del mondo, Corraini, Mantova 2011
Henry David Thoreau, Camminare, Mondadori, Milano 2009
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Internationale Situationniste, n.1, 1958-1969, ristampa francese, Fayard, Paris, 1997; traduzione italiana, Internazionale Situazionista (1958-1969), Nautilus, Torino 1994